Hojas de sala Arqueologia de la memòria. Textos de sala
2024
Hoja de sala
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siamo. Pertanto, dobbiamo capire che costruire la memoria è una
responsabilità collettiva.
Italiano
Sappiamo chi sono
Dietro le cifre, sempre scovolgenti, ci sono persone concrete, con
nomi, cognomi e storie di vita. Sebbene nella sfera famigliare la
loro memoria sia spesso rimasta intatta, nella sfera pubblica le loro
vite sono state spesso ridotte allo status di vittime. Come se la loro
identità fosse definita solo dall’ultimo momento della loro vita: la
fucilazione e la fossa.
Sapere chi erano e cosa facevano prima del loro omicidio aiuta a
rivendicarle nella vita, nelle loro traiettorie personali e politiche,
nelle loro reti di affetti, nei loro desideri e lotte. Ogni nome e ogni
microstoria recuperata e condivisa contribuisce a rompere il silenzio e l’oblio.
MOSTRA ALL’ESTERNO
Archeologia, riesumazioni e vignette
La riesumazione delle fosse comuni del franchismo è diventata una
questione molto mediatica. Dopo i pionieristici interventi archeologici realizzati nel 2000 e l’approvazione della prima Legge della
Memoria Storica nel 2007, la memoria della repressione franchista ha fatto irruzione nel dibattito politico e nell’opinione pubblica.
Questo boom della memoria è ancora vivo nel presente e ha contribuito alla conoscenza e alla riflessione su un passato recente che
non si è ancora chiuso. Un passato trasformato in cronaca attraverso la televisione, la radio, la stampa scritta e i social network che
dimostra, oggi più che mai, che si tratta di un tema attuale.
Uno dei linguaggi con il maggior potenziale per comunicare la
complessità di un argomento come questo è l’illustrazione. Sia che
si tratti di vignette sui giornali o in modo monografico su fumetti
e libri illustrati, la rappresentazione delle fosse comuni funge da
sintesi del dibattito sulla memoria storica.
Questa raccolta di illustrazioni offre un percorso visivo attraverso il
quale vengono affrontate questioni come la non giuridicizzazione
dei crimini del franchismo, l’impunità della dittatura, l’equiparazione tra vittime e carnefici, il silenzio e l’oblio, o il ruolo dell’archeologia nella costruzione della memoria democratica.
Il passato inizia ieri e l’archeologia, in quanto scienza
specializzata nel suo studio, ne è ben consapevole.
Benché sia diventata popolare come disciplina dedicata
alla scoperta di civiltà passate e oggetti antichi, la
realtà è molto diversa. L’archeologia studia tutto ciò
che riguarda le società umane dalla preistoria fino al
passato più recente servendosi di una vasta gamma di
fonti: oggetti, paesaggi, spazi, costruzioni, scritti, resti
umani ... e, ove possibile, anche testimonianze orali.
Ed è per questo che ricorre a strumenti e metodologie
molto diversi che la collegano ad altre discipline, come
la storia, l’antropologia o la geologia, motivo per cui si
caratterizza come una scienza interdisciplinare.
Questo sguardo trasversale permette di andare oltre
la semplice estrazione di reperti dal sottosuolo. In
realtà, lo scopo dell’archeologia è quello di analizzare,
interpretare e diffondere la conoscenza del passato,
con un fermo impegno verso le realtà e i conflitti del
presente.
“Archeologia della memoria. Le fosse comuni di
Paterna” propone un percorso attraverso il nostro
passato recente più traumatico e spiega il ruolo
dell’archeologia nel recupero delle testimonianze e
delle memorie della repressione franchista.
SALA IV
SALA III
SALA II
SALA I
MOSTRA ALL’ESTERNO
SALA I
L’ARCHEOLOGIA DEL PASSATO RECENTE
I conflitti contemporanei e l’archeologia
La storia dell’umanità è attraversata dalla barbarie. Concetti come
genocidio, crimine contro l’umanità o fossa comune fanno parte, purtroppo, della nostra realtà. Difatti, il mondo contemporaneo è stato un
campo di sperimentazione nell’uso della violenza e della repressione come meccanismi di legittimazione del potere e di epurazione
ed eliminazione del dissenso.
Su questi trascorsi traumatici vengono imposti silenzi, ma le prove,
spesso nascoste o distrutte, resistono. La memoria di un familiare,
le baracche di un campo di concentramento, la segnalazione di
una fossa comune o la lettera d’addio di una persona condannata
a morte costituiscono prove inconfutabili di violazioni dei diritti
più fondamentali.
Sulla base di queste prove, l’archeologia – in particolare il suo ambito forense – contribuisce a fare luce sui crimini e al recupero dei
corpi e delle storie di vita delle vittime. Allo stesso tempo, contribuisce alla conoscenza, su scala internazionale, dei luoghi di perpetrazione e dei luoghi della memoria.
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L’archeologia forense
Il recupero delle persone scomparse a causa della violenza di Stato
ha come punto di riferimento gli interventi di archeologia forense
realizzati in America Latina. L’Argentina è uno dei primi paesi a
promuovere le indagini sui crimini perpetrati contro la sua popolazione civile durante la dittatura militare.
Questa necessità di fare giustizia costituisce l’embrione di molte
delle procedure scientifiche che, dagli anni Ottanta, vengono eseguite in tutto il mondo. Si tratta di una pratica che è tutelata dalle
linee guida e dai regolamenti internazionali sui diritti umani.
Nello Stato spagnolo, questi protocolli non arrivano fino all’inizio
del xxi secolo e vengono applicati nelle indagini sulla repressione
della guerra e della dittatura. In particolare, sono sempre state le
famiglie delle vittime del franchismo a reclamare alle autorità pubbliche il diritto alla verità, alla giustizia e al risarcimento.
Queste rivendicazioni sono valide ancora oggi. Tuttavia, l’anomalia è che la legislazione spagnola non contempla la giuridicizzazione degli omicidi della dittatura, considerando che i crimini sono
andati in prescrizione.
Sapere chi sono
Aprire la fossa non è la fine, ma l’inizio di tutto. Dobbiamo dare un
nome alle vittime, accompagnare e dare voce alle famiglie e fare
del trauma una questione di riflessione e impegno pubblico.
È un processo minuzioso, complesso, lungo che non sempre dà i
risultati attesi e che richiede etica sociale e professionale.
L’identificazione genetica dei resti inizia, paradossalmente, con un
elemento asettico come una scatola di cartone, dove i resti umani
rimangono in attesa dei risultati dei test del DNA.
Spagna, dopoguerra e repressione
Nel 1939 finisce la guerra in Spagna, ma la pace non arriva. Dopo
il colpo di stato del 1936, il generale Francisco Franco installa con
la forza un regime militare totalitario, profondamente antidemocratico, che dura fino al 1975.
In questa “nuova Spagna” non c’è posto per i diritti civili, né per
i partiti politici, né per i sindacati, né per qualsiasi pensiero o
comportamento che si discosti dalla norma imposta. La violenza
è istituzionalizzata come meccanismo di repressione e propaganda, e invade ogni area della vita delle donne e degli uomini. Con
l’incarcerazione, i giudizi sommarissimi e le fucilazioni, il regime
individua ed elimina fisicamente “i vinti”.
Di fronte a questa situazione, molti troveranno nell’esilio all’estero
un modo per sopravvivere. Tuttavia, la maggioranza dovrà subire
un “esilio interiore” pieno di violenze: dalle umiliazioni pubbliche,
passando per le epurazioni e gli espropri forzati, fino alla rieducazione ideologica e morale e alla brutalità della violenza sessuale.
La repressione è inflitta anche oltre la morte.
SALA II
PATERNA: FOSSE COMUNI E MEMORIA
Il cimitero e il muro del Terrer
Paterna è un caso paradigmatico della repressione franchista postbellica. Questo comune, a meno di dieci chilometri da Valencia,
conserva due luoghi rilevanti di violenza e memoria: il muro del
Terrer come luogo di fucilazioni e il cimitero comunale come
grande fossa comune.
Per quasi due decenni (1939-1956), la dittatura uccise almeno
2.237 persone in questo luogo, la stragrande maggioranza nei primi cinque anni. Questi crimini rispondono a una politica premeditata di eliminazione di quelle persone che il franchismo considerava non fedeli al regime.
Gli omicidi imposero silenzio e paura, ma non oblio. Le famiglie, fin dall’inizio, custodirono segretamente la memoria dei loro
scomparsi. Alcuni, infatti, riuscirono a spostare il corpo ancora
caldo – dopo la fucilazione – per evitare la fossa comune.
Queste azioni e rivendicazioni, guidate soprattutto da vedove e
madri, sono il germe di ciò che decenni dopo costituirà il movimento memorialista.
L’archeologia delle fosse comuni
Il recupero delle vittime inizia sempre su richiesta delle famiglie. Il
lavoro inizia lontano dalla fossa con la difficile ricerca di documentazione storica e di testimonianze orali per raccogliere informazioni sulle persone uccise e sui luoghi in cui furono sepolte. La terra
viene aperta ai piedi della fossa per cercare le prove dei crimini.
Si tratta di un processo rigoroso e di squadra che richiede una documentazione esaustiva di tutto ciò che appare nel sottosuolo, per
ricostruire come si formò e si riempì la fossa: i corpi, gli oggetti e,
soprattutto, i diversi strati di terra. Questa metodologia di scavo è
ciò che contraddistingue la disciplina archeologica.
Tuttavia, lo scopo delle esumazioni non è semplicemente quello
di svuotare le fosse, ma di recuperare i corpi per identificare le
persone. Pertanto, una parte essenziale del processo è lo studio antropologico e forense dei resti, le interviste con i famigliari ancora
in vita e le analisi del DNA.
Sebbene non sia sempre possibile identificarli, l’archeologia può
assumere un ruolo veramente riparatore per le famiglie. In qualche modo, la riesumazione permette di collegare fisicamente e
simbolicamente presente e passato, superficie e sottosuolo, vita e
morte, materializzando la ricerca del familiare scomparso.
Sapere dove sono
Solo nel cimitero di Paterna sono note più di 150 fosse comuni
del franchismo. Si tratta di cavità realizzate nel terreno, a pianta
quadrata -di circa 2x2 m-, che si estendono su gran parte della
superficie del vecchio cimitero. Alcuni raggiungono fino a 6 metri
di profondità.
Il numero delle fosse, l’uso intensivo dello spazio e la profondità di
queste buche mostrano la premeditazione e l’atrocità della repressione franchista: si scava una fossa profonda diversi metri solo se si
intende riempirla di corpi.
SALA III
AL DI LÀ DELLA MATERIALITÀ
All’interno e all’esterno della fossa comune
Un cucchiaio. Una manciata di bottoni. Una medaglietta. Una
scatola di fiammiferi. A prima vista, sembrano oggetti irrilevanti per la loro natura quotidiana. Ma quando provengono da un
contesto di repressione, acquisiscono un significato speciale come
prove peritali dei crimini e, a loro volta, svolgono un ruolo chiave
nei processi di costruzione della nostra memoria recente.
Per le discipline scientifiche, gli oggetti costituiscono documenti
che aiutano a contestualizzare i fatti e possono integrare il processo di identificazione delle vittime. Per le famiglie, incarnano la
memoria degli scomparsi, con un profondo valore emotivo. Per la
società nel suo complesso, sono potenziali attivatori di empatia e
riflessione su questo passato traumatico.
Oggetti riesumati
Al momento del crimine, le persone uccise avevano con sé solo
pochi effetti personali. Alcuni sono sopravvissuti più di ottant’anni sottoterra. Il loro recupero ci aiuta a creare un’istantanea delle
loro vite, ma anche dei loro ultimi momenti in prigione e al muro,
segnati da crudeltà e violenza.
Nonostante gli sforzi della dittatura di creare e diffondere un’immagine stereotipata delle vittime delle rappresaglie – come “rossi”
sovversivi e pericolosi – i materiali riesumati illustrano una realtà
con molte sfumature. Ciò che tenevano in tasca ci racconta di progetti personali e politici.
Le fosse contengono uomini e donne di età e provenienza diverse.
Vi è una rappresentanza della borghesia, delle libere professioni e,
soprattutto, della classe operaia. Si tratta di persone che difendevano una vasta gamma di slogan politici e che in alcuni casi avevano
svolto un ruolo attivo nella vita politica, militare, sociale e culturale
della Repubblica. Tuttavia, ciò che li univa, al di lá delle loro differenze, era l’opposizione al fascismo.
Testi vetrine oggetti riesumati
Fame e precarietà
Cosa significa portare un cucchiaio in tasca? Chi usa quotidianamente un pettine anti lendini? La vita carceraria è accompagnata
da sovraffollamento, malattie infettive e una cattiva alimentazione. Queste condizioni subumane e repressive fecero sì che molte
persone morissero in prigione prima della fucilazione e che altre
soffrissero di malattie croniche, sia fisiche che mentali.
Fede e religiosità popolare
L’anticlericalismo era un argomento usato dalla dittatura per screditare e vendicarsi dei difensori della legalità repubblicana. Se è
vero che alcuni gruppi usarono la violenza contro la Chiesa, la
Repubblica aveva stabilito la laicità e la libertà di culto. Infatti,
nelle fosse ci sono persone che sono state fucilate con oggetti devozionali cattolici.
Repressione e controllo
L’ingresso in carcere comporta la totale privazione della libertà e
una sorveglianza assoluta, routine sorvegliate, censura, controllo
delle visite, perquisizione degli effetti personali e una ferma rieducazione morale e ideologica. L’individuo viene privato della sua
identità e diventa parte di una massa uniforme di colpevoli. La
fucilazione sarà il culmine di questa violenza.
Solidarietà tra prigionieri
Le condizioni squallide del carcere fanno proliferare la cooperazione e il sostegno reciproco nella lotta per la sopravvivenza.
Condividere il tabacco, aiutare a leggere il giornale e le lettere dei
familiari, dividere un pettine in due parti o scrivere un indirizzo
su un pezzo di carta per chiedere aiuto, parla della creazione di
legami affettivi e di solidarietà.
Differenze
Un bottone di legno non è la stessa cosa di un gemello metallico
decorato. Né una cintura di cuoio intrecciata è uguale a una semplice corda per sorreggere i pantaloni. Il modo di vestire è un riflesso della classe sociale. Anche l’abbigliamento e gli oggetti personali
ne caratterizzano la personalità.
Evasioni
L’incarcerazione si traduce in una doppia sconfitta morale: accettare la condanna inflitta in processi senza garanzie e assumere
l’imposizione di un sistema antagonista ai propri ideali. La sopravvivenza spesso implica la ricerca di vie di fuga dalla realtà, come
ad esempio fumare, giocare con oggetti riutilizzati o aggrapparsi a
elementi che evocano la realtà perduta.
Le donne segnalate
Tra tutte le violenze subite dalle donne per mano di un regime
franchista apertamente paternalistico e misogino, la condanna a
morte aveva lo scopo di eliminare quelle che la dittatura considerava “rosse” irrecuperabili. Le venti donne fucilate a Paterna, impegnate politicamente e intellettualmente, furono uccise per aver
infranto la legge.
Nostalgia
Affrontare l’isolamento e l’incertezza di una vita dietro le sbarre
intensifica l’assenza dei propri cari. La memoria viene spesso ma-
terializzata attraverso gli oggetti. Ed è per questo che alcuni prigionieri custodiscono gli oggetti personali che conservano dall’esterno: una foto, una treccia. E, a loro volta, creano oggetti con
noccioli di frutta, pietre, fili o erba di sparto, che mandano a casa.
Comunicare
Durante i giorni, i mesi e persino gli anni di detenzione, i contatti
con il mondo esterno si limitano a sporadiche visite dei familiari e all’arrivo della corrispondenza. Scrivere in carcere diventa
un’ancora di salvezza, che mantiene vivo il legame con l’esterno
attraverso lettere e cartoline che raccontano la quotidianità. Anche
l’ultimo saluto, espresso nella lettera d’addio, è scritto a matita.
Non dimenticare
Nonostante la determinazione del regime franchista a cancellare
la vita e la memoria di queste persone, le famiglie esprimono l’intenzione di recuperare i corpi fin dal momento dell’omicidio. Tra
le pratiche eccezionali di resistenza c’è quella di introdurre nella
fossa – con l’aiuto della persona che sepelliva – mazzi di fiori o
elementi identificativi, come biglietti scritti a mano con nome e
cognome della persona fucilata.
Oggetti famigliari
La morte della vittima apre una profonda frattura. L’angoscia,
tuttavia, inizia prima, quando la famiglia deve affrontare la scomparsa, l’incarcerazione e un processo illegale che culminerà con la
condanna a morte. La perdita crea una ferita persistente che sarà
aggravata dallo stigma sociale di sopravvivere come membro della
famiglia di una persona fucilata.
Le famiglie sono vittime croniche della repressione. Madri, padri,
mariti, mogli, figli e figlie di “rossi” e “rosse” subiranno in prima
persona ogni tipo di punizione e umiliazione. Affrontare questo
trauma in uno scenario di controllo soffocante come quello della
dittatura non provoca la stessa reazione in tutte le persone. C’è chi
dimentica consapevolmente a causa del dolore e di ciò che dirà
la gente. C’è chi sceglie il silenzio e decide di non parlare per la
sopravvivenza. E c’è chi, in privato, assume il rischio di mantenere
e trasmettere la memoria alle generazioni future.
In particolare, le donne faranno della casa uno spazio di resistenza
in cui, segretamente, ricorderanno e parleranno di ciò che viene
perseguitato all’esterno. Spesso, l’assenza sarà compensata dagli
oggetti del parente scomparso, che rimangono nascosti nei cassetti
e che vengono custoditi per preservarne la memoria.
SALA IV
COSTRUENDO LA MEMORIA DEMOCRATICA
Vittime dell’oblio
Dopo più di ottant’anni, le famiglie devono ancora rivendicare il
diritto di ritrovare i loro cari scomparsi e che sia fatta giustizia.
Alla negazione assoluta durante la dittatura, si aggiungono diversi
decenni di negligenza e di inazione istituzionale, durante la democrazia. Solo negli ultimi anni, le autorità pubbliche hanno iniziato
ad accettare la necessità di attuare politiche pubbliche di memoria.
Il quadro internazionale dei diritti umani riconosce il diritto alla
memoria e alla garanzia di non ripetizione come pilastri essenziali
delle società democratiche. Questo diritto reclama la Verità di conoscere il passato e di parlare di ciò che non è stato detto; Giustizia
per chiarire i crimini e combattere l’impunità, e Riparazione per
trattare le vittime con l’umanità che meritano e facilitare così il
lutto delle famiglie.
Che ne siamo consapevoli o meno, questo passato traumatico ci
riguarda come società nel suo complesso, perché fa parte di ciò che
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siamo. Pertanto, dobbiamo capire che costruire la memoria è una
responsabilità collettiva.
Italiano
Sappiamo chi sono
Dietro le cifre, sempre scovolgenti, ci sono persone concrete, con
nomi, cognomi e storie di vita. Sebbene nella sfera famigliare la
loro memoria sia spesso rimasta intatta, nella sfera pubblica le loro
vite sono state spesso ridotte allo status di vittime. Come se la loro
identità fosse definita solo dall’ultimo momento della loro vita: la
fucilazione e la fossa.
Sapere chi erano e cosa facevano prima del loro omicidio aiuta a
rivendicarle nella vita, nelle loro traiettorie personali e politiche,
nelle loro reti di affetti, nei loro desideri e lotte. Ogni nome e ogni
microstoria recuperata e condivisa contribuisce a rompere il silenzio e l’oblio.
MOSTRA ALL’ESTERNO
Archeologia, riesumazioni e vignette
La riesumazione delle fosse comuni del franchismo è diventata una
questione molto mediatica. Dopo i pionieristici interventi archeologici realizzati nel 2000 e l’approvazione della prima Legge della
Memoria Storica nel 2007, la memoria della repressione franchista ha fatto irruzione nel dibattito politico e nell’opinione pubblica.
Questo boom della memoria è ancora vivo nel presente e ha contribuito alla conoscenza e alla riflessione su un passato recente che
non si è ancora chiuso. Un passato trasformato in cronaca attraverso la televisione, la radio, la stampa scritta e i social network che
dimostra, oggi più che mai, che si tratta di un tema attuale.
Uno dei linguaggi con il maggior potenziale per comunicare la
complessità di un argomento come questo è l’illustrazione. Sia che
si tratti di vignette sui giornali o in modo monografico su fumetti
e libri illustrati, la rappresentazione delle fosse comuni funge da
sintesi del dibattito sulla memoria storica.
Questa raccolta di illustrazioni offre un percorso visivo attraverso il
quale vengono affrontate questioni come la non giuridicizzazione
dei crimini del franchismo, l’impunità della dittatura, l’equiparazione tra vittime e carnefici, il silenzio e l’oblio, o il ruolo dell’archeologia nella costruzione della memoria democratica.
Il passato inizia ieri e l’archeologia, in quanto scienza
specializzata nel suo studio, ne è ben consapevole.
Benché sia diventata popolare come disciplina dedicata
alla scoperta di civiltà passate e oggetti antichi, la
realtà è molto diversa. L’archeologia studia tutto ciò
che riguarda le società umane dalla preistoria fino al
passato più recente servendosi di una vasta gamma di
fonti: oggetti, paesaggi, spazi, costruzioni, scritti, resti
umani ... e, ove possibile, anche testimonianze orali.
Ed è per questo che ricorre a strumenti e metodologie
molto diversi che la collegano ad altre discipline, come
la storia, l’antropologia o la geologia, motivo per cui si
caratterizza come una scienza interdisciplinare.
Questo sguardo trasversale permette di andare oltre
la semplice estrazione di reperti dal sottosuolo. In
realtà, lo scopo dell’archeologia è quello di analizzare,
interpretare e diffondere la conoscenza del passato,
con un fermo impegno verso le realtà e i conflitti del
presente.
“Archeologia della memoria. Le fosse comuni di
Paterna” propone un percorso attraverso il nostro
passato recente più traumatico e spiega il ruolo
dell’archeologia nel recupero delle testimonianze e
delle memorie della repressione franchista.
SALA IV
SALA III
SALA II
SALA I
MOSTRA ALL’ESTERNO
SALA I
L’ARCHEOLOGIA DEL PASSATO RECENTE
I conflitti contemporanei e l’archeologia
La storia dell’umanità è attraversata dalla barbarie. Concetti come
genocidio, crimine contro l’umanità o fossa comune fanno parte, purtroppo, della nostra realtà. Difatti, il mondo contemporaneo è stato un
campo di sperimentazione nell’uso della violenza e della repressione come meccanismi di legittimazione del potere e di epurazione
ed eliminazione del dissenso.
Su questi trascorsi traumatici vengono imposti silenzi, ma le prove,
spesso nascoste o distrutte, resistono. La memoria di un familiare,
le baracche di un campo di concentramento, la segnalazione di
una fossa comune o la lettera d’addio di una persona condannata
a morte costituiscono prove inconfutabili di violazioni dei diritti
più fondamentali.
Sulla base di queste prove, l’archeologia – in particolare il suo ambito forense – contribuisce a fare luce sui crimini e al recupero dei
corpi e delle storie di vita delle vittime. Allo stesso tempo, contribuisce alla conoscenza, su scala internazionale, dei luoghi di perpetrazione e dei luoghi della memoria.
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L’archeologia forense
Il recupero delle persone scomparse a causa della violenza di Stato
ha come punto di riferimento gli interventi di archeologia forense
realizzati in America Latina. L’Argentina è uno dei primi paesi a
promuovere le indagini sui crimini perpetrati contro la sua popolazione civile durante la dittatura militare.
Questa necessità di fare giustizia costituisce l’embrione di molte
delle procedure scientifiche che, dagli anni Ottanta, vengono eseguite in tutto il mondo. Si tratta di una pratica che è tutelata dalle
linee guida e dai regolamenti internazionali sui diritti umani.
Nello Stato spagnolo, questi protocolli non arrivano fino all’inizio
del xxi secolo e vengono applicati nelle indagini sulla repressione
della guerra e della dittatura. In particolare, sono sempre state le
famiglie delle vittime del franchismo a reclamare alle autorità pubbliche il diritto alla verità, alla giustizia e al risarcimento.
Queste rivendicazioni sono valide ancora oggi. Tuttavia, l’anomalia è che la legislazione spagnola non contempla la giuridicizzazione degli omicidi della dittatura, considerando che i crimini sono
andati in prescrizione.
Sapere chi sono
Aprire la fossa non è la fine, ma l’inizio di tutto. Dobbiamo dare un
nome alle vittime, accompagnare e dare voce alle famiglie e fare
del trauma una questione di riflessione e impegno pubblico.
È un processo minuzioso, complesso, lungo che non sempre dà i
risultati attesi e che richiede etica sociale e professionale.
L’identificazione genetica dei resti inizia, paradossalmente, con un
elemento asettico come una scatola di cartone, dove i resti umani
rimangono in attesa dei risultati dei test del DNA.
Spagna, dopoguerra e repressione
Nel 1939 finisce la guerra in Spagna, ma la pace non arriva. Dopo
il colpo di stato del 1936, il generale Francisco Franco installa con
la forza un regime militare totalitario, profondamente antidemocratico, che dura fino al 1975.
In questa “nuova Spagna” non c’è posto per i diritti civili, né per
i partiti politici, né per i sindacati, né per qualsiasi pensiero o
comportamento che si discosti dalla norma imposta. La violenza
è istituzionalizzata come meccanismo di repressione e propaganda, e invade ogni area della vita delle donne e degli uomini. Con
l’incarcerazione, i giudizi sommarissimi e le fucilazioni, il regime
individua ed elimina fisicamente “i vinti”.
Di fronte a questa situazione, molti troveranno nell’esilio all’estero
un modo per sopravvivere. Tuttavia, la maggioranza dovrà subire
un “esilio interiore” pieno di violenze: dalle umiliazioni pubbliche,
passando per le epurazioni e gli espropri forzati, fino alla rieducazione ideologica e morale e alla brutalità della violenza sessuale.
La repressione è inflitta anche oltre la morte.
SALA II
PATERNA: FOSSE COMUNI E MEMORIA
Il cimitero e il muro del Terrer
Paterna è un caso paradigmatico della repressione franchista postbellica. Questo comune, a meno di dieci chilometri da Valencia,
conserva due luoghi rilevanti di violenza e memoria: il muro del
Terrer come luogo di fucilazioni e il cimitero comunale come
grande fossa comune.
Per quasi due decenni (1939-1956), la dittatura uccise almeno
2.237 persone in questo luogo, la stragrande maggioranza nei primi cinque anni. Questi crimini rispondono a una politica premeditata di eliminazione di quelle persone che il franchismo considerava non fedeli al regime.
Gli omicidi imposero silenzio e paura, ma non oblio. Le famiglie, fin dall’inizio, custodirono segretamente la memoria dei loro
scomparsi. Alcuni, infatti, riuscirono a spostare il corpo ancora
caldo – dopo la fucilazione – per evitare la fossa comune.
Queste azioni e rivendicazioni, guidate soprattutto da vedove e
madri, sono il germe di ciò che decenni dopo costituirà il movimento memorialista.
L’archeologia delle fosse comuni
Il recupero delle vittime inizia sempre su richiesta delle famiglie. Il
lavoro inizia lontano dalla fossa con la difficile ricerca di documentazione storica e di testimonianze orali per raccogliere informazioni sulle persone uccise e sui luoghi in cui furono sepolte. La terra
viene aperta ai piedi della fossa per cercare le prove dei crimini.
Si tratta di un processo rigoroso e di squadra che richiede una documentazione esaustiva di tutto ciò che appare nel sottosuolo, per
ricostruire come si formò e si riempì la fossa: i corpi, gli oggetti e,
soprattutto, i diversi strati di terra. Questa metodologia di scavo è
ciò che contraddistingue la disciplina archeologica.
Tuttavia, lo scopo delle esumazioni non è semplicemente quello
di svuotare le fosse, ma di recuperare i corpi per identificare le
persone. Pertanto, una parte essenziale del processo è lo studio antropologico e forense dei resti, le interviste con i famigliari ancora
in vita e le analisi del DNA.
Sebbene non sia sempre possibile identificarli, l’archeologia può
assumere un ruolo veramente riparatore per le famiglie. In qualche modo, la riesumazione permette di collegare fisicamente e
simbolicamente presente e passato, superficie e sottosuolo, vita e
morte, materializzando la ricerca del familiare scomparso.
Sapere dove sono
Solo nel cimitero di Paterna sono note più di 150 fosse comuni
del franchismo. Si tratta di cavità realizzate nel terreno, a pianta
quadrata -di circa 2x2 m-, che si estendono su gran parte della
superficie del vecchio cimitero. Alcuni raggiungono fino a 6 metri
di profondità.
Il numero delle fosse, l’uso intensivo dello spazio e la profondità di
queste buche mostrano la premeditazione e l’atrocità della repressione franchista: si scava una fossa profonda diversi metri solo se si
intende riempirla di corpi.
SALA III
AL DI LÀ DELLA MATERIALITÀ
All’interno e all’esterno della fossa comune
Un cucchiaio. Una manciata di bottoni. Una medaglietta. Una
scatola di fiammiferi. A prima vista, sembrano oggetti irrilevanti per la loro natura quotidiana. Ma quando provengono da un
contesto di repressione, acquisiscono un significato speciale come
prove peritali dei crimini e, a loro volta, svolgono un ruolo chiave
nei processi di costruzione della nostra memoria recente.
Per le discipline scientifiche, gli oggetti costituiscono documenti
che aiutano a contestualizzare i fatti e possono integrare il processo di identificazione delle vittime. Per le famiglie, incarnano la
memoria degli scomparsi, con un profondo valore emotivo. Per la
società nel suo complesso, sono potenziali attivatori di empatia e
riflessione su questo passato traumatico.
Oggetti riesumati
Al momento del crimine, le persone uccise avevano con sé solo
pochi effetti personali. Alcuni sono sopravvissuti più di ottant’anni sottoterra. Il loro recupero ci aiuta a creare un’istantanea delle
loro vite, ma anche dei loro ultimi momenti in prigione e al muro,
segnati da crudeltà e violenza.
Nonostante gli sforzi della dittatura di creare e diffondere un’immagine stereotipata delle vittime delle rappresaglie – come “rossi”
sovversivi e pericolosi – i materiali riesumati illustrano una realtà
con molte sfumature. Ciò che tenevano in tasca ci racconta di progetti personali e politici.
Le fosse contengono uomini e donne di età e provenienza diverse.
Vi è una rappresentanza della borghesia, delle libere professioni e,
soprattutto, della classe operaia. Si tratta di persone che difendevano una vasta gamma di slogan politici e che in alcuni casi avevano
svolto un ruolo attivo nella vita politica, militare, sociale e culturale
della Repubblica. Tuttavia, ciò che li univa, al di lá delle loro differenze, era l’opposizione al fascismo.
Testi vetrine oggetti riesumati
Fame e precarietà
Cosa significa portare un cucchiaio in tasca? Chi usa quotidianamente un pettine anti lendini? La vita carceraria è accompagnata
da sovraffollamento, malattie infettive e una cattiva alimentazione. Queste condizioni subumane e repressive fecero sì che molte
persone morissero in prigione prima della fucilazione e che altre
soffrissero di malattie croniche, sia fisiche che mentali.
Fede e religiosità popolare
L’anticlericalismo era un argomento usato dalla dittatura per screditare e vendicarsi dei difensori della legalità repubblicana. Se è
vero che alcuni gruppi usarono la violenza contro la Chiesa, la
Repubblica aveva stabilito la laicità e la libertà di culto. Infatti,
nelle fosse ci sono persone che sono state fucilate con oggetti devozionali cattolici.
Repressione e controllo
L’ingresso in carcere comporta la totale privazione della libertà e
una sorveglianza assoluta, routine sorvegliate, censura, controllo
delle visite, perquisizione degli effetti personali e una ferma rieducazione morale e ideologica. L’individuo viene privato della sua
identità e diventa parte di una massa uniforme di colpevoli. La
fucilazione sarà il culmine di questa violenza.
Solidarietà tra prigionieri
Le condizioni squallide del carcere fanno proliferare la cooperazione e il sostegno reciproco nella lotta per la sopravvivenza.
Condividere il tabacco, aiutare a leggere il giornale e le lettere dei
familiari, dividere un pettine in due parti o scrivere un indirizzo
su un pezzo di carta per chiedere aiuto, parla della creazione di
legami affettivi e di solidarietà.
Differenze
Un bottone di legno non è la stessa cosa di un gemello metallico
decorato. Né una cintura di cuoio intrecciata è uguale a una semplice corda per sorreggere i pantaloni. Il modo di vestire è un riflesso della classe sociale. Anche l’abbigliamento e gli oggetti personali
ne caratterizzano la personalità.
Evasioni
L’incarcerazione si traduce in una doppia sconfitta morale: accettare la condanna inflitta in processi senza garanzie e assumere
l’imposizione di un sistema antagonista ai propri ideali. La sopravvivenza spesso implica la ricerca di vie di fuga dalla realtà, come
ad esempio fumare, giocare con oggetti riutilizzati o aggrapparsi a
elementi che evocano la realtà perduta.
Le donne segnalate
Tra tutte le violenze subite dalle donne per mano di un regime
franchista apertamente paternalistico e misogino, la condanna a
morte aveva lo scopo di eliminare quelle che la dittatura considerava “rosse” irrecuperabili. Le venti donne fucilate a Paterna, impegnate politicamente e intellettualmente, furono uccise per aver
infranto la legge.
Nostalgia
Affrontare l’isolamento e l’incertezza di una vita dietro le sbarre
intensifica l’assenza dei propri cari. La memoria viene spesso ma-
terializzata attraverso gli oggetti. Ed è per questo che alcuni prigionieri custodiscono gli oggetti personali che conservano dall’esterno: una foto, una treccia. E, a loro volta, creano oggetti con
noccioli di frutta, pietre, fili o erba di sparto, che mandano a casa.
Comunicare
Durante i giorni, i mesi e persino gli anni di detenzione, i contatti
con il mondo esterno si limitano a sporadiche visite dei familiari e all’arrivo della corrispondenza. Scrivere in carcere diventa
un’ancora di salvezza, che mantiene vivo il legame con l’esterno
attraverso lettere e cartoline che raccontano la quotidianità. Anche
l’ultimo saluto, espresso nella lettera d’addio, è scritto a matita.
Non dimenticare
Nonostante la determinazione del regime franchista a cancellare
la vita e la memoria di queste persone, le famiglie esprimono l’intenzione di recuperare i corpi fin dal momento dell’omicidio. Tra
le pratiche eccezionali di resistenza c’è quella di introdurre nella
fossa – con l’aiuto della persona che sepelliva – mazzi di fiori o
elementi identificativi, come biglietti scritti a mano con nome e
cognome della persona fucilata.
Oggetti famigliari
La morte della vittima apre una profonda frattura. L’angoscia,
tuttavia, inizia prima, quando la famiglia deve affrontare la scomparsa, l’incarcerazione e un processo illegale che culminerà con la
condanna a morte. La perdita crea una ferita persistente che sarà
aggravata dallo stigma sociale di sopravvivere come membro della
famiglia di una persona fucilata.
Le famiglie sono vittime croniche della repressione. Madri, padri,
mariti, mogli, figli e figlie di “rossi” e “rosse” subiranno in prima
persona ogni tipo di punizione e umiliazione. Affrontare questo
trauma in uno scenario di controllo soffocante come quello della
dittatura non provoca la stessa reazione in tutte le persone. C’è chi
dimentica consapevolmente a causa del dolore e di ciò che dirà
la gente. C’è chi sceglie il silenzio e decide di non parlare per la
sopravvivenza. E c’è chi, in privato, assume il rischio di mantenere
e trasmettere la memoria alle generazioni future.
In particolare, le donne faranno della casa uno spazio di resistenza
in cui, segretamente, ricorderanno e parleranno di ciò che viene
perseguitato all’esterno. Spesso, l’assenza sarà compensata dagli
oggetti del parente scomparso, che rimangono nascosti nei cassetti
e che vengono custoditi per preservarne la memoria.
SALA IV
COSTRUENDO LA MEMORIA DEMOCRATICA
Vittime dell’oblio
Dopo più di ottant’anni, le famiglie devono ancora rivendicare il
diritto di ritrovare i loro cari scomparsi e che sia fatta giustizia.
Alla negazione assoluta durante la dittatura, si aggiungono diversi
decenni di negligenza e di inazione istituzionale, durante la democrazia. Solo negli ultimi anni, le autorità pubbliche hanno iniziato
ad accettare la necessità di attuare politiche pubbliche di memoria.
Il quadro internazionale dei diritti umani riconosce il diritto alla
memoria e alla garanzia di non ripetizione come pilastri essenziali
delle società democratiche. Questo diritto reclama la Verità di conoscere il passato e di parlare di ciò che non è stato detto; Giustizia
per chiarire i crimini e combattere l’impunità, e Riparazione per
trattare le vittime con l’umanità che meritano e facilitare così il
lutto delle famiglie.
Che ne siamo consapevoli o meno, questo passato traumatico ci
riguarda come società nel suo complesso, perché fa parte di ciò che
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